"Ci sono libri che si posseggono da vent'anni senza leggerli, che si tengono sempre vicini, che uno si porta con sè di città in città, di paese in paese, imballati con cura, anche se abbiamo pochissimo posto, e forse li sfogliamo al momento di toglierli dal baule; tuttavia ci guardiamo bene dal leggerne per intero anche una sola frase. Poi, dopo vent'anni, viene il momento in cui d'improvviso, quasi per una fortissima coercizione, non si può fare a meno di leggere uno di questi libri di un fiato, da capo a fondo: è come una rivelazione."

Elias Canetti

«Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire»

(I. Calvino, Perché leggere i classici, def. 6)


Il critico Lytton Strachey (a destra) prende il tè con Rosamond Lehmann e suo fratello, John Lehman del circolo Bloomsbury : i componenti del celebre circolo letterario inglese che ha contribuito a definire la cultura britannica nel periodo tra le due guerre

mercoledì 26 ottobre 2016

Roderick Duddle e gli altri: dopo l'incontro con Mari

                                                      
         Ci siamo incontrati
Mercoledì 26 ottobre 2016
alle ore 20,30
nella sede della biblioteca
e confrontati sulla lettura de
  Roderick Duddle e gli altri libri
 di Michele Mari
Trama: «Se avesse potuto gettare uno sguardo anche un solo istante nella mente di quell’uomo, Roderick si sarebbe messo a correre via senza fermarsi mai... Ma tu non scapperai, mio lettore, perché sei avido di sapere, perché ti ho scelto fra tanti, e perché, appunto, sei mio». Figlio di una prostituta, Roderick cresce tra furfanti e ubriaconi all’Oca Rossa, fumosa locanda con annesso bordello. Quando la madre muore, il proprietario pensa bene di cacciarlo: quello che entrambi ignorano è che nel destino di Roderick è nascosta un’immensa fortuna, e quel medaglione che porta al collo ne è la prova. Il ragazzino si ritrova alle calcagna una folla di balordi, mentecatti, loschi uomini di legge e amministratori, assassini, suore non proprio convenzionali – ognuno deciso a impadronirsi in un modo o nell’altro di una parte del bottino. E cosí Roderick fugge, per terra e per mare, in un crescendo di imprevisti, omicidi, equivoci e false piste. Roderick Duddle è insieme summa e reinvenzione del percorso letterario di Michele Mari: guardando a Dickens e Stevenson, mai cosí amati, disegna un’impareggiabile parabola sulla cupidigia e sulla stupidità dell’uomo, ma anche sulla sua capacità di stupirsi di fronte al meraviglioso. Un appassionante e insieme raffinatissimo gioco letterario, che ha la forza e l’intelligenza di proporsi alla lettura semplicemente come romanzo d’appendice contemporaneo. «Mio paziente lettore, che mi hai seguito passo passo fin qui: immagino che sarai stanco, e desideroso di sapere come questa storia va a finire. Cercherò di accontentarti, anche se nessuna storia propriamente finisce mai».
L'INDICE dei libri del mese:
  Si può scrivere oggi, in italiano, un autentico romanzo inglese dell'Ottocento? O addirittura del Settecento? Se sei Michele Mari (o Michael Murry) sì, puoi. Puoi scrivere un romanzo romanzesco, che fin dalla copertina invita a correre senza rallentare dietro i calzoncini corti e il berretto con la visiera di un ragazzino in controluce. E per il titolo, bastano nome e cognome del protagonista: sarà un orfano di Dickens? Un trovatello come Tom Jones? Un provinciale che vive avventure di mare come il quasi omonimo Roderick Random di Tobias Smollett? Il lettore troverà tutto quanto è promesso da questa apertura, e anche molto di più, in un'Inghilterra preindustriale, non cittadina, di ricche signore, tavernieri, marinai, pendagli da forca, suore, prostitute, avvocati, e di vorticosi spostamenti, ma quasi sempre a piedi. Nessuno si stupisce che l'autore di Io venìa pien d'angoscia a rimirarti o di Tutto il ferro della torre Eiffel sia un amante del passato, un maniacale riscrittore, che ricama con un fascio di ossessioni. Lo amiamo per questo. Non per la straordinaria capacità di scrittura, non per il virtuosismo citazionistico, non solo, insomma: ma per il sangue presente che ribolle anche nelle membra che paiono più atemporali o disseccate. Nessuno si stupisce che Roderick Duddle non siaun romanzo di Dickens o di Fielding, ma forse colpisce che sia proprio un romanzo; e che sia felice. È un romanzo dell'avventura, dell'intrigo, della trama, dell'intreccio labirintico e incalzante; tenuto in mano con maestria dal lavoratissimo gioco del narratore: ironico, complice, sempre in dialogo con il lettore, che è via via accompagnato, accarezzato, preso in giro e richiamato all'attenzione con una mirabolante sequela di aggettivi: mio impaziente lettore, mio sapido lettore, privilegiato, frettoloso, bennato, onirico, solerte, morboso, malizioso, prudente lettore; improvvido, sfrontato, fiscale, perplesso, connivente, perspicace, micragnoso lettore; avveduto, gnomico, viziato, partecipe, reazionario, e così via. Soprattutto paziente e tollerante, direi, nonché fedele e affezionato. E ho iniziato a prender nota solo da un certo punto in poi, evitando di inserire nel computo un "mio dilettante onomasta". La felicità discende innanzi tutto da questo grandioso divertimento della struttura narrativa complessa, fatta di innumerevoli incastri, soluzioni, incroci, abbandoni e riprese; tirata su con una lingua magistralmente srotolata, che gioca ariosamente con la tradizione delle traduzioni del romanzesco, spingendosi fino a qualche nota su fantasmatici giochi di parole "intraducibili". E che conduce quindi il lettore a divertirsi, senza sgomento, anche di fronte alle peggiori nefandezze, crudeltà e perversioni (i capi d'accusa potrebbero andare dal reiterato omicidio a sangue freddo allo sfruttamento della prostituzione, dalla riduzione in schiavitù alla vendita di orfani, tralasciando ovviamente la presenza di una badessa radicalmente anticristiana o un caso di ermafroditismo che accende raccapricci e concupiscenze), librate come sono nella sveltezza leggera della narrazione. E felicità anche per il semplice fatto che a un certo punto diventa (anche) un romanzo di mare; ammutinamento, e barile di mele, e Nantucket compresi. E Mari (o, nomen omen!) che già aveva fatto il suo con La stiva e l'abisso (oltre che con il venerabile Otto scrittori) può servire senza limiti la sua golosità lessicale di tutte le biscagline, golette, sagole, griselle, rande e bigotte che si possono desiderare, condite con esclamazioni che vanno dagli Affedidio e Sacramento dell'ouverture fino ad un Crastúmberli! Allora, visto inoltre che innumerevoli sono le forme del riferimento e del rifacimento (il capitano William Bones dell'Isola del tesoro è scelto come pseudonimo da un personaggio, poi è rivelato e discusso, la serie amplissima dei capitoli assai brevi, funzionali al continuo salto da un punto all'altro dell'intrigo, offrono anche un vastissimo terreno di azione per sfrenare il gusto per i titoli, che spesso rifunzionalizzano quelli famosi, come la stessa Isola del tesoro o Of mice and men), siamo di fronte a un divertissement? Sì, certo, ma il romanzo più romanzesco che si possa immaginare, e proiettato lontano nello spaziotempo, è anche un romanzo urgente e autobiografico. Come nell'Orlando furioso, fin dal proemio sappiamo che la follia d'amore del protagonista è la stessa che lima l'ingegno dell'autore: il protagonista ragazzino è anche l'autore, e nel racconto si sdoppia fino a ipotesi di triplicazione. La vera vita di Michele Mari, Roderick-Michael e Roderick-Malcolm, è questo insieme di parole, è tutte queste avventure. E la morale (le morali) della storia c'è, eccome: "il mondo è schiavo del desiderio" (è l'abiezione non è "un mondo a parte"); il "maniacale e agonistico rapporto con le scartoffie" non tende ad altro che a "intuire, sfiorandola, la vita" e il "farsi carne" della cultura "è poi il modo più alto, essendo il più basso, di essere colti".   Davide Dalmas